domenica 15 marzo 2009

SARKOZY NOMINA L'EX-PRIMO MINISTRO MICHEL ROCARD "AMBASCIATORE" PER LE RELAZIONI INTERNAZIONALI RELATIVE ALL'ARTICO E ALL'ANTARTIDE

Michel Rocard (78 anni), ex-primo ministro socialista di François Mitterand negli anni 1988-1991, segretario del partito socialista francese (1991) e deputato del parlamento europeo dal 1994 fino al gennaio 2009, sarà "l'Ambasciatore di Francia" incaricato delle relazioni internazionali relative alle regioni polari del pianeta, l'Artico e l'Antartide. E' una decisione di Nicolas Sarkozy. Nella sua nuova veste di "ambasciatore dei ghiacci" Rocard potrebbe per esempio recarsi al prossimo ATCM. Nel frattempo ha compiuto un viaggio privato in Antartide dal 22 gennaio al 2 febbraio 2009, in compagnia di membri dell'ONG francese "Le Cercle Polaire", fra cui vi sono parecchi giornalisti e divulgatori scientifici esperti delle regioni polari. Quand'era primo ministro di Mitterand, Rocard si era opposto alla ratificazione del CRAMRA (Convention on the Regulation of Antarctic Mineral Resource Activities), la convenzione del Trattato Antartico relativa allo sfruttamento delle risorse minerarie sul continente. Il problema dello sfruttamento minerario in Antartide fu inizialmente sollevato dalla Gran Bretagna e dalla Nuova Zelanda, dietro richiesta di imprese minerarie.
Le tratattive per giungere ad un accordo sulla ricerca mineraria e sullo sfruttamento iniziarono nel 1981; ci vollero ben sette anni di lavoro per redigere questo trattato estrememente complesso e delicato, che fu pronto per essere firmato nel 1988. Nel frattempo i paesi che avevano ratificato il Trattato Antartico erano diventati 38 (dai 12 iniziali - oggi sono 46). Nel 1989 la Francia e l'Australia (due delle nazioni che ratificarono il Trattato Antartico nel 1959) si rifiutarono di firmare il CRAMRA e il trattato non entro' mai in vigore, poiché tutti i paesi aderenti al Trattato Antartico devono essere d'accordo.

In un tempo successivo Francia e Australia furono sostenute anche dall'Italia (che ratifico' il Trattato Antartico nel 1981), dalla Nuova Zelanda e dal Belgio. Il complicatissimo CRAMRA fu sostituito da un singolo articolo - il numero 7 - del
Protocollo di Madrid, che vieta qualsiasi tipo di attività mineraria in Antartide, tranne per ragioni scientifiche. Il Protocolo di Madrid entro' in vigore nel 1991: nell'articolo 2 viene stabilito che l'Antartide è una riserva naturale dedicata alla Pace e alla Scienza. Nrell'articolo 6 tutti i paesi aderenti al trattato Antartico hanno il dovere di collaborare fra loro nell'ambito di programmi scientifici (e anche nell'ambito della divulgazione e dell'educazione).

La posta in gioco nelle regioni polari del pianeta sta diventando elevatissima, soprattutto nell'Artico. In un momento delicato come questo - dal punto di vista climatico, geopolitico e ovviamente scientifico- l'Italia si fa notare per la sua totale assenza sul fronte della ricerca polare. Solo DUE Italiani
erano presenti al convegno conclusivo dell'Anno polare internazionale a Ginevra, il 25 febbraio 2009: il presidente dell'OGS di Trieste e una giornalista scientifica freelance esperta dell'Antartide (unico Italiano presente all'inaugurazione dell'IPY il Primo marzo 2007).I fondi diminuiscono anno dopo anno e l'attività dei vari ricercatori diventa sempre più difficile, in particolare nell'ambito di collaborazioni internazionali come - ad esempio - la stazione italo-francese CONCORDIA in Antartide, dove 3 Italiani stanno svolgendo il winter-over insieme a 10 Francesi. Ci si augura che il Ministro Gelmini e il Sottosegretario Pizza possano ascoltare i ricercatori, ma anche i giornalisti scientifici e i divulgatori scientifici, come l'ha fatto il senatore francese Christian Gaudin nel 2006-2007.

NELLA FOTO: Michel Rocard ai tempi in cui era Primo Ministro (1988-1991) sotto la Presidenza di François Mitterand.

mercoledì 11 marzo 2009

UN ALTRO DISCOVERY

Cape Canaveral, 11 marzo 2009: la navetta Discovery (che porta il nome di uno dei velieri di Robert Falcon Scott...) schiaccia un pisolino sotto la luna piena, prima del decollo previsto per questa notte, direzione la Stazione Spaziale Internazionale. A bordo, un equipaggio di sette astronauti (tutti uomini, nessuna donna questa volta....). Comandante della missione STS-119, che durerà 20 giorni: Lee Archambault. Discovery si trova sulla rampa di lancio 39A, al Kennedy Space center in Florida. Questa missione è la 125a degli Space Shuttle.

Il mitico Discovery di Scott, costruito apposta per la sua prima spedizione in Antartide (1901-03) prese il
largo da Dundee in Scozia, il 31 luglio 1901. Oggi è diventato un museo galleggiante e si trova sempre a Dundee (Discovery Quay, Riverside Dr, Dundee, United Kingdom‎).

Nella foto a sinistra: il Discovery di Robert F Scott.


CREDITO FO
TO NAVETTA DISCOVERY:NASA/Bill Ingalls

sabato 7 marzo 2009

LETTERA APERTA DI UNA RICERCATRICE ITALIANA SULLO STATO DELLA RICERCA ANTARTICA IN ITALIA

Silvia Olmastroni, Biologa e PhD in Scienze Polari, ricercatrice preso il Dipartimento Scienze Ambientali "G. Sarfatti" dell'Università degli Studi di Siena, è la responsabile italiana della ricerca sui pinguini Adélie. Quando è in Antartide, il lavoro di Silvia consiste nel monitorare le colonie di Adélie situate nei pressi della stazione italiana Mario Zucchelli a Baia Terra Nova (chiamata MZS in gergo antartico): le colonie di Edmonson Point, di Inexpressible island e di Adélie Cove. La località di Edmonson Point è tanto importante che nel 2006, durante la riunione annuale dei Paesi membri del Trattato Antartico (ATCM), fu creata un'apposita "Zona a protezione speciale" di 6 km2. Nell'ambito del monitoraggio delle colonie di pinguini Adélie del mare di Ross, Silvia Olmastroni ha collaborato - e scritto pubblicazioni scientifiche - con ricercatori Australiani e degli Stati Uniti. Si è recata anche in colonie di Adélie più distanti dalla stazione MZS. La fotografia a destra la ritrae insieme al collega Francesco Pezzo, nella colonia di Inexpressible island, intenta a fissare una radiotrasmittente Argos sulle piume del dorso di un pinguino Adélie. L'uso di queste radiotrasmittenti (che costano intorno ai 3.000 dollari ciascuna) ha permesso a Silvia di scoprire dove i pinguini Adélie delle colonie monitorate vanno ad alimentarsi, a che distanza dalla costa, e quanti giorni restano in mare. Dati di grande importanza, che nessuno aveva mai rilevato nell'area circostante alla nostra stazione scientifica MZS. Purtroppo, da alcuni anni il finanziamento inadeguato delle spedizioni ha impedito la regolare prosecuzione del monitoraggio annuale delle colonie di pinguini Adélie.
Silvia Olmastroni ci ha fatto pervenire questa sua riflessione sullo stato delle ricerca antartica in Italia: la pubblichiamo volentieri sul questo blog. Con l'augurio che in un prossimo futuro il nostro Governo comprenda l'importanza fondamentale della Ricerca nelle regioni polari del pianeta, e preveda lo stanziamento di fondi adeguati per la ricerca nell'Artico e in Antartide (come ha fatto negli ultimi 25 anni, durante i quali sono stati pesi 600 milioni di Euro per la ricerca antartica).


Di Silvia Olmastroni, PhD:

La diminuzione sistematica dei fondi dedicati alla ricerca è argomento ormai noto alla comunità scientifica nazionale italiana, anche i mass media nelle trasmissioni dedicate alla scienza ci ricordano ormai questo triste orientamento nazionale. Come conseguenza anche settori di notevole specializzazione scientifica e tecnologica, come le missioni in Antartide, hanno risentito di questa scelta. Ma è negli ultimi tre anni che la situazione è ulteriormente precipitata impedendo quasi in toto lo svolgimento di campagne scientifiche presso la stazione italiana in Antartide Mario Zucchelli. Questo momento particolarmente grave è coinciso con uno dei momenti più importanti della comunità polare internazionale: il IV° Anno Polare Internazionale.

Cito testualmente (http://www.annopolare.it/)

“L’Anno Polare Internazionale è un’iniziativa di ricerca scientifica internazionale ed interdisciplinare che coinvolgerà circa 50.000 ricercatori di 63 nazioni. Promosso dal Consiglio internazionale per la Scienza (ICSU) e dall’Organizzazione meteorologica internazionale (WMO), l’IPY si pone l’obiettivo principale di consentire un’osservazione e una comprensione più dettagliate delle regioni polari, attirando l’attenzione del mondo intero sulla loro importanza attraverso un’iniziativa di ricerca che non era mai stata così imponente se non durante l’Anno Geofisico Internazionale (1957- 58) di cui l’IPY ricorda il 50° anniversario.”


Così mentre i colleghi di altre nazionalità, che pur risentendo del momento di crisi globale hanno visto confermati e finanziati i propri programmi scientifici, hanno realizzato congiuntamente progetti di ricerca multidisciplinari per il biennio 2007-2009, l’Italia ha dovuto tirarsi indietro. Ogni collaborazione costruita negli oltre 20 anni di ricerche sul continente antartico è stata sospesa se non abbandonata senza neppure poter ipotizzare un momento di futura ripresa. Siamo rimasti senza parole, e non senza un certo imbarazzo ci siamo dovuti eclissare tentando di spiegare questa situazione e la totale mancanza di programmazione sul presente e sul futuro ai nostri colleghi stranieri con cui collaboravamo.

Le conseguenze e il danno per il mondo scientifico italiano sono da subito evidenti ma saranno maggiormente percepibili anche con qualche anno di ritardo. La ricerca “mancata” significa infatti mancate pubblicazioni, e quindi ridotto impatto nella comunità scientifica internazionale. Questo si traduce inevitabilmente nell’impossibilità di accedere ai fondi internazionali dedicati a questo settore di ricerca.

Significa, a livello italiano, anche la mancanza di argomenti disponibili per le tesi di laurea e di dottorato di ricerca e quindi mancata formazione scientifica e culturale in quel settore per la prossima generazione di studenti. I gruppi di ricerca che hanno investito fondi e personale per l’acquisto di materiale scientifico e bibliografico devono riciclarsi, disperdendo il know-how acquisito negli anni. Senza contare che alcune ricerche condotte in ambienti estremi avrebbero potuto essere tradotte in brevetti tecnologici internazionali. Anche ipotizzando una futura ripresa dell’attività di ricerca in Antartide rimane un “buco nero” che crescerà in modo allometrico, tanto più sarà il tempo trascorso dall’abbandono della ricerca sul campo scientifico internazionale. Va da se che a questo corrisponda, e un buon economista può certo quantificarlo, anche e soprattutto un danno economico per il nostro paese.

Fotografia di Lucia Simion (c).

CONCLUSIONE DEL QUARTO ANNO POLARE INTERNAZIONALE

Il Quarto Anno Polare Internazionale - inaugurato con una cerimonia ufficiale il Primo marzo 2007 a Parigi - si è concluso il 25 febbraio scorso 2009 con una conferenza alla sede dell'Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO) a Ginevra. La conferenza-stampa, alla quale hanno preso parte (fra l'altro) il Segretario Generale del WMO, Michel Jarraud, il Direttore dell'IPY David Carlson, la Direttrice del CNRS francese, Signora Catherine Bréchignac, Iain Allison dell'Australian Antarctic Division, si è svolta nel Palazzo delle Nazioni Unite di Ginevra. Ero l'unico giornalista e divulgatore Italiano presente. In quell'occasione è stato reso pubblico un documento sullo Stato della Ricerca Polare, finanziato dal WMO, dall'ICSU (il Consiglio internazionale delle Scienza) e l'IPY. Il documento in PDF è disponibile in diverse lingue (tranne l'Italiano) su questo LINK:

http://www.ipy.org/index.php?/ipy/detail/state_of_polar_research/

In alternativa collegarsi al sito dell'IPY e digitare "State of Polar Research". Nelle immagini: a destra, il Segretario Generale del WMO, Michel Jarraud, nel corso di un'intervista televisiva. A sinistra la copertina del documento "State of the Polar Research". La fotografia della copertina è del francese Christian Morel. Finanziato dal WMO e dall'ICSU (la cui sede si trova a Parigi) e sostenuto da diversi ricercatori, Morel a potuto realizzare una serie di reportages sulla ricerca nell'Artico: le fotografie sono in mostra al Palazzo delle Nazioni di Ginevra fino alla fine di marzo, poi viaggeranno attraverso il mondo. La prima tappa sarà Parigi, poi gli Stati Uniti.

Questa mostra ("Our polar Heritage") rappresenta un importante contributo del WMO, ICSU e dell'IPY per portare a conoscenza del grande pubblico le attività di ricerca scientifica internazionale nell'Artico. Si tratta di un progetto di divulgazione scientifica e le fotografie sono accompagnate da didascalie esaustive in Inglese e Francese.

Per dirvi la differenza con l'Italia: nel 2005 -all'approccio dell'Anno Polare Internazionale- avevo proposto al PNRA e alla CSNA (Commissione scientifica nazionale per l'Antartide) di seguire un'intera campagna antarctica alla nostra stazione italiana Mario Zucchelli e alla base italo-francese Concordia. Sono un giornalista scientifico, un divulgatore e un fotografo con al mio attivo diverse spedizioni in Antartide e nelle isole Subantartiche. Il mio scopo era quello di realizzare fotografie e video, raccogliere testimonianze per poi pubblicare un libro per adulti e uno per ragazzi, organizzare una mostra itinerante sulla Ricerca italiana in Antartide (con foto e video) e creare un fondo fotografico e video per l'Archivio del PNRA, come fanno tutti i Programmi polari degli altri paesi. Questo archivio è utile per organizazre mostre fotografiche a carattere divulgativo, annual reports, posters, cartoline, presentazioni power point...è utile anche per la stampa. Morale: la mia proposta è stata scartata a favore di giornalisti della RAI e dell'ANSA.

Pur essendo stata scartata, ho la soddisfazione di aver realizzato una serie di progetti che portano a conoscenza del pubblico (e dei politici) un continente unico al mondo: l'Antartide. Nell'ambito dell'Anno Polare Internazionale - e senza un solo centesimo di denaro pubblico, ho pubblicato un volume illustrato sull'Antartide, dedicato alle famiglie e ai ragazzi delle scuole, che ha riscontrato un ottimo successo e ricevuto premi ("Antartide, il Cuore bianco della Terra", in Italiano, Francese e Tedesco).
Ho organizzato diverse mostre fotografiche (in Italia e in Francia), tenuto conferenze sull'Antartide nelle scuole e per il grande pubblico (in Italia, Francia, Stati Uniti); pubblicato articoli su progetti scientifici in Antartide sulla stampa nazionale (Corriere della Sera e Famiglia Cristiana, due dei media a più forte tiratura nel nostro Paese); scritto articoli per il sito web dell'International Polar Year; realizzato francobolli per il Servizio filatelico delle TAAF (Terres australes et antarctiques Françaises) e per la Repubblica di San Marino. Infine, ho partecipato a una mostra sui cambiamenti climatici organizzata dal Museo di Scienze Naturali di Torino, con un video sul progetto europeo EPICA, che avevo documentato durante tre campagne estive a Dome C. Questa mostra di Torino (svoltasi nel 2008) ha ottenuto un grande successo di pubblico, tant'è che è durata più del previsto.

Foto: Lucia Simion - A destra in basso: la mostra del francese Christian Morel "Our Polar Heritage" al Palazzo delle Nazioni Unite di Ginevra. Tema: la ricerca scientifica nell'Artico.

GAMBURTSEV: LA SPEDIZIONE E' STATA UN SUCCESSO

Servizio pubblicato sul Corriere della Sera online il giorno 26 febbraio 2009:

Missione compiuta. I membri del progetto internazionale AGAP (Antarctica’s Gamburtsev Province), partiti nel novembre scorso per raggiungere il cuore dell’Antartide e studiare le misteriose montagne subglaciali Gamburtsev sono rientrati alla base. Con una straordinaria messe di dati che permetterà di svelare la natura e l’origine di una catena di monti grande quanto le Alpi, sepolta sotto quattromila metri di ghiaccio. Uno dei più grandi enigmi della Terra. I primissimi risultati sono stati svelati il 25 febbraio scorso.

“Non poteva andare meglio di cosi’, il programma è stato realizzato in modo completo dal punto di vista aerogeofisico” dice Fausto Ferraccioli, geofisico genovese, responsabile del team di ricercatori del British Antarctic Survey (BAS, il Programma polare inglese, situato a Cambridge).
I monti Gamburtsev sono stati scoperti nel 1958 da una spedizione sovietica e per mezzo secolo sono rimasti un grande punto interrogativo sulla mappa dell’Antartide. Le ipotesi sulla loro origine sono diverse: si tratta di un massiccio vulcanico come l’Hoggar in Algeria? oppure di un altipiano come le Lesotho mountains in Sudafrica? o ancora: sono il risultato di collisioni avvenute circa 360 milioni di anni orsono nel supercontinente Gondwana di cui faceva parte l’Antartide orientale? I dati erano troppo scarsi per svelare l’enigma.

Poi, all’approssimarsi del quarto Anno polare internazionale (che si è concluso il primo marzo dopo 24 mesi di intensa attività scientifica nell’Artico e nell’Antartide) è stata organizzata una grande spedizione internazionale con la partecipazione di Americani (finanziati dalla National Science Foundation), Inglesi del BAS, Australiani, Cinesi, Tedeschi e Giapponesi. Uno dei temi dell’Anno polare era infatti l’esplorazione dei territori sconosciuti, in particolare nel continente Antartico.
Che cosa hanno “visto” i membri di AGAP? “Non è un altipiano, ma una vera e propria catena di dimensioni e di aspetto simile alle Alpi, con picchi e valli incredibili modellate da processi pluviali e glaciali”, racconta Fausto Ferraccioli. “Come ha fatto una catena cosi’ grande ad essere preservata dall’erosione, è un mistero. Forse la calotta di ghiaccio si è formata rapidamente”. Ora - prosegue - la sfida è quella di analizzare la mole di dati raccolta e di capire che cosa è accaduto. I dati permetteranno di produrre una nuova mappa della topografia subglaciale, che servirà ai modellisti per stabilire nuovi modelli sulla genesi delle calotte di ghiaccio.
Dal punto di vista logistico è stata una delle spedizioni più complesse mai organizzate finora. E’ stata possible solo grazie alla collaborazione internazionale e al periodo propizio, rappresentato dall’Anno Polare Internazionale. Per acclimatarsi all’altezza i membri americani e inglesi della spedizione hanno trascorso qualche giorno alla stazione USA Amundsen-Scott al Polo sud geografico (2.800 m di altezza) prima di essere trasferiti ai rispettivi campi remoti (AGAP Sud per gli Americani e AGAP nord per gli Inglesi), dove le temperature sfioravano i -30°C. Da qui, i team hanno sorvolato le aree di studio a bordo di due piccoli aeroplani Twin Otter, attrezzati con la strumentazione per gli studi aerogeofisici (radar, magnetometro e gravimetro).
“Abbiamo avuto due settimane di ritardo, spiega Ferraccioli, ma poi siamo stati molto fortunati: 25 giorni di bel tempo ininterrotto, che ci ha consentito di volare per complessivi 120.000 chilometri, l’equivalente di tre volte il giro della Terra”. E’ stato esplorato il 20% della calotta dell’Antartide orientale, sorvolata l’area di alcuni laghi subglaciali e determinato il punto della calotta in cui verrà compiuto il prossimo progetto di perforazione profonda in ghiaccio (in quello spessore il ghiaccio racchiude un archivio climatico di un milione di anni).

Secondo i programmi, il carburante per il Twin Otter americano avrebbe dovuto essere consegnato al campo AGAP Sud con una carovana di trattori cingolati (la “traversa”) partita da McMurdo, via il Polo sud. Purtroppo quest’anno la traversa ha incontrato una serie di terribili crepacci dopo la partenza, ed è arrivata in ritardo al Polo sud. E’ stato necessario consegnare il carburante con gli Hercules LC-130 della US Air Force. Il campo di AGAP Nord ha invece ricevuto i fusti di carburante dal cielo: paracadutati da enormi C-17 americani.

Il quarto Anno Polare Internazionale si è concluso con un convegno il 25 febbraio alla sede del World Meteorological Organization e al Palazzo delle Nazioni Unite di Ginevra. Hanno partecipato alcuni dei principali ricercatori internazionali, fra cui Robin Bell del Lamont Doherty Earth Observatory, responsabile della spedizione americana alle Montagne Gamburtsev. Era presente anche David Carlson, direttore dell'International Polar Year.
Mentre cala il sipario su questa straordinaria maratona scientifica - che ha coinvolto 60.000 partecipanti fra tecnici e ricercatori di 60 diversi paesi - la fragile silhouette delle misteriose montagne Gamburtsev fa capolino sullo schermo dei radar. La Terra australis incognita dei geografi greci di duemila anni fa non ha finito di sorprenderci.


Lucia Simion

ILLUSTRAZIONE DI ZINA DERETZKY-NSF-BAS

mercoledì 11 febbraio 2009

K2KGL QUI ANTARTIDE, A VOI - PASSO!

Radioamatori in Antartide? Ebbene SI’. Nonostante email e telefoni satellitari la cara, vecchia radio viene tuttora utilizzata da radioamatori antartici per chiacchierare con il resto del mondo e persino per parlare con gli astronauti della Stazione Spaziale Internazionale, 400 chilometri al sopra di noi.
Ce lo racconta Elaine Hood in due articoli apparsi recentemente sull’Antarctic Sun, un periodico online che tratta temi relativi alla ricerca statunitense in Antartide, finanziato dalla National Science Foundation (NSF).
Interviste e testi sono realizzati da un piccolo team di specialisti impiegati dalla Raytheon Polar Services, l’istituzione che pianifica e organizza dal punto di vista logistico le spedizioni americane in Antartide per conto nella NSF (sulle stazioni scientifiche, le navi oceanografiche e nei campi remoti). Il quartier generale della RPS si trova a Centennial, presso Denver. Direttore dell’Antarctic Sun è Peter Rejcek, mentre Elaine Hood gestisce la fototeca US Antarctic Photo Library e collabora al periodico. Responsabile del servizio Stampa e Comunicazione è Valerie Carroll.

Quella dei radioamatori (“hams” in Inglese) e l’Antartide è una tradizione che risale agli anni 50, quando due giovanissimi “hams” di una piccola città del New Jersey - Jules e John Madey, rispettivamente 16 e 13 anni - svolsero un ruolo fondamentale nello stabilire contatti fra l’Antartide e gli Stati Uniti. A quel tempo la radio era l’unica possibilità per i membri delle spedizioni antartiche (soprattutto militari della Navy) di stabilire un contatto con il mondo “di sopra”, spezzando un isolamento che poteva durare anche due anni. Tutte le basi avevano i loro operatori radio, ma il contributo di radioamatori come Jules e John Madey fu straordinario. L’opportunità di chiacchierare con mogli, figli, fidanzate o parenti grazie ai ragazzi Madey fu un formidabile sostegno psicologico per i militari americani in Antartide, soprattutto nel corso dell’Anno Geofisico Internazionale (1957-58). FOTO IN ALTO E A DESTRA: militari della Navy alla radio, nel 1956 - a Williams Air Operating Facility. (c) US Navy/NSF/US Antarctic Photo Library.

La vicenda di Jules e John Madey è esemplare e anche molto commovente. Durante il giorno - racconta sempre Elaine Hood- i due ragazzi andavano a scuola; rientrati a casa facevano subito i compiti, quindi si mettevano alla radio fino a notte fonda per stabilire i contatti con l’Antartide e le famiglie dei militari rimaste negli Stati Uniti. Il giorno dopo, di mattino presto, erano di nuovo in classe.


Il primo collegamento fu stabilito il 24 dicembre 1956. La sigla per chiamare era K2KGL: tutta l’Antartide la conosceva e a cinquant’anni di distanza qualcuno se la ricorda ancora a memoria. Per migliorare la ricezione e la trasmissione, i genitori dei ragazzi li aiutarono ad installare una torre di trenta mentri nel cortile dietro casa. La radio di Jules era anche collegata a un telefono. Il contributo dei ragazzi Madey fu tale che parecchi militari - rientrati negli USA - andarono a trovarli nel New Jersey. Earl Johnson, che trascorse l’inverno australe al Polo sud geografico invito’ Jules al suo matrimonio, per ringraziarlo di averlo mantenuto in contatto con la findanzata. La stessa Navy fu riconoscente ai ragazzi Madey: Jules fu invitato a recarsi in Antartide nel 1959. Una località in Antartide è stata battezzata Madey Ridge. FOTO IN ALTO A SINISTRA: il Polo sud geografico nel 1956. (c) US Antarctic Photo Library-NSF

All'Università i fratelli hanno entrambi studiato al CalTech: Jules è diventato un ingegnere biomedico. Mentre John ha sviluppato il primo laser a elettroni liberi (FEL). Oggi è il direttore di un dipartimento all’università di Hawaii.


Il primo contatto radio dall’Antartide fu stabilito dalla spedizione dell’esploratore australiano Douglas Mawson, nel 1912: dal rifugio di Cape Denison a Commonwealth Bay, i membri della spedizione chiamarono Melbourne in Australia facendo un ponte-radio con una base situata sull’isola di Macquarie. Richard Evelyn Byrd, uno dei più grandi esploratori dell’Antartide, fu salvato grazie alla radio. Nel 1934 Byrd soggiorno’ da solo in un rifugio di pochi metri quadrati a 200 chilometri dalla base principale e fu lentamente avvelenato dal monossido di carbonio. Ascoltando la sua voce alla radio, i compagni compresero che stava molto male e accorsero a salvarlo.


CREDITO FOTOGRAFICO DELLE IMMAGINI IN BIANCO E NERO: U.S. Navy- National Science Foundation-US Antarctic Photo Library

DA UN POLO ALL'ALTRO PER MISURARE I GAS A EFFETTO SERRA

Un aereo speciale - attrezzato come un laboratorio volante - ha fatto il giro del mondo per prelevare campioni di atmosfera e misurare in tempo reale i gas a effetto serra a varie latitudini e a diverse altezze. Il progetto si chiama HIPPO (HIAPER Pole-to-Pole Observations) e si avvale di un aereo Gulfstream V di proprietà della National Science Foundation americana, utilizzato dal National Center for Atmospheric Research (NCAR) di Boulder, Colorado. L'aereo si chiama HIAPER (High-performance Instrumented Airborne Platform for Environmental Research) ed è un laboratorio volante ultra-sofisticato. La sua autonomia di 11.000 Km gli consente di attraversare enormi distanze senza essere costretto ad atterrare. A bordo, un'equipe di ricercatori ha prelevato e misurato in tempo reale le concentrazioni di anidride carbonica e di altri gas a effetto serra intorno al pianeta, con strumenti progettati appositamente per la missione HIPPO, finanziata dalla NSF (4,5 milioni di dollari finora) e dal NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration). FOTO IN ALTO: HIAPER in volo sopra l'Alaska.
"Questa missione ci fornirà dati straordinari sulla concentrazione di CO2 e di altri gas a effetto serra ovunque nel mondo - ha spiegato Britton Stephens del NCAR, uno dei responsabili dello studio.Potremo fare previsioni più precise sull'evoluzione della loro concentrazione e prendere decisioni migliori riguardo al global change". Ogni anno vengono prodotti nel mondo 30 miliardi di tonnellate di CO2: di questi, il 40% si accumula nell'atmosfera, mentre il resto verrebbe disciolto negli oceani oppure assorbito da ecosistemi terrestri.
"Questa è la prima volta che si è tentato di realizzare una mappa della distribuzione di CO2 e di altri gas a effetto serra, dalla superficie terrestre fino all'alta atmosfera
", dice Ralph Keeling dello Scripps, uno dei responsabili della missione. "Gli ocean
ografi hanno compiuto studi simili per decenni, ma per quanto riguarda lo studio dell'atmosfera l'approccio è rivoluzionario. Volo dopo volo otteniamo dei dati, delle istantanee: una volta messi insieme otterremo una visione globale." FOTO A DESTRA: HIAPER in fase di atterraggio a Deadhorse in Alaska.

HIAPER è decollato l'8 gennaio 2009 da Boulder e ha fatto il giro del mondo dal polo nord al polo sud: dal Colorado all'Alaska, poi al di
sopra dell'Artico quindi attraverso l'oceano Pacifico giù fino in Nuova Zelanda, in Antartide fino al polo Sud e infine rientro alla base passando per l'isola di Pasqua e il Costarica. Venti giorni di volo, 44.700 chilometri percorsi. Chi non avrebbe voluto essere a bordo?? I campionamenti sono stati compiuti a diverse altezze fra i 300 e i 14.000 metri e le misure effettuate in tempo reale. A questa missione collaborano anche il NOAA (fianziatore del progetto insieme alla NSF),la Scripps Institution of Oceanography, l'Università di Princeton e di Miami. Si tratta delle prima di cinque missioni che si svolgeranno fra il 2009 e il 2011. FOTO QUI SOPRA: HIAPER.

Rimane da porsi una domanda (da pignoli): quanta CO2 ha emesso HIPER nel suo volo di 44.700 km intorno alla Terra? Nella progettazione di questo aereo è stato considerato questo elemento?

CREDITO DELLO FOTOGRAFIE: NCAR

martedì 10 febbraio 2009

ABISSI E ANTARTIDE: NEGLI AMBIENTI ESTREMI

Si chiama Alvinella pompejana, è un verme di 13 centimetri di lunghezza ed è considerato da alcuni “la creatura più termoresistente del pianeta”. Scoperto nei primi anni 80 nelle sorgenti idrotermali dell’Oceano Pacifico, è un polichete capace di vivere a temperature intorno agli 80°C grazie alla simbiosi con batteri che ricoprono una parte del suo corpo formando una sorta di "vello" dello spessore di un centimetro. Nel DNA dei batteri è stato scoperto un gene - una particolare sequenza del DNA- che induce la produzione di una proteina in grado di proteggerli da temperature troppo elevate. Proteggendo sé stessi, proteggono anche il verme. In cambio, questo secerne del muco di cui si nutrono i batteri. La scoperta è stata compiuta da ricercatori americani dell’Università del Delaware, finanziati dalla National Science Foundation, ed è stata pubblicata online il 6 febbraio su PLos genetics. La proteina prodotta dai batteri estremofili puo’ trovare un impiego nell’industria farmaceutica, tessile o alimentare. Chi riesce ad isolare (e a brevettare) il gene che codifica per quella proteina ha trovato una miniera d'oro.

I ricercatori sono scesi sul fondale dell’oceano Pacifico a bordo del sommergibile Alvin, per esplorare sorgenti idrotermali ad ovest del Costa Rica. Il verme (noto con il nome di “verme Pompei”) e i suoi batteri (Nautilia profundicola) vivono sul fondo dell’oceano a 2.500 metri di profondità, presso dei geysers sottomarini chiamati sorgenti idrotermali. Questi "geysers" emettono acqua a temperatura elevatissima, contenente minerali e sostanze chimiche che permettono lo sviluppo di ecosistemi unici al mondo. La capacità di vivere in condizioni estreme e probabilmente molto simili a quelle esistenti sulla Terra milioni di anni fa affascina e intriga i ricercatori.

A 2,5 Km di profondità è buio pesto e la pressione è di circa 250atmosfere. L'ambiente è un deserto, tranne intorno alla sorgenti idrotermali - dove si sviluppano oasi di vita caratterizzate dalla presenza di un gran numero di tubi biancastri e sottili, affiancati gli uni agli altri. Sono le dimore dei vermi Pompei: il loro corpo sta nel tubo, mentre la testa di colore rosso scuro, di forma tentacolare (sono le branchie) si affaccia all'estremità. Grazie a una sonda-termometro i ricercatori hanno misurato la temperatura nel tubo: 80°C. Le branchie invece sono immerse in aqua a 22°C. FOTO A LATO: il verme estratto dal suo tubo-dimora. Si nota la il "vello" formato da uno strato di batteri termofili e - in basso- le branchie in forma di "petali".


Nel cuore dell’Antartide, sotto a quattromila metri di ghiaccio è nascosto il lago Vostok.
Finora, nessuno ha potuto penetrare le sue acque e esplorarne le profondità. Tuttavia, nella parte pù profonda delle carote di ghiaccio estratte nel passato alla base Russa Vostok (situata sopra il lago) sono state trovate tracce di un batterio termofilo. La parte più profonda delle carote di ghiaccio contiene acqua di rigelo del lago; il batterio proviene dunque dal lago Vostok. Sul fondale esistono faglie profonde, simili a sorgenti idrotermali; i batteri potrebbero formare un rivestimento sulle pareti di queste faglie. Del resto è quanto fa Nautilia profundicola: non solo forma il “vello” che riveste il dorso del verme Pompei, ma tappezza anche i “camini” delle sorgenti idrotermali. Chissà che una situazione simile non esista anche sul fondale del lago Vostok? Anche laggiù è buio profondo e la pressione atmosferica è ancora più elevata.

CREDITO FOTO: Università del Delaware.

lunedì 9 febbraio 2009

IN DIRETTA DALL'ACQUARIO DEL KRILL ANTARTICO

Testo tratto dall'opera "Antartide, il Cuore bianco della Terra" di Lucia Simion, Giunti editore, (riproduzione vietata senza autorizzazione dell'Autore). Aggiornamento: febbraio 2009.


Incontrare il krill antartico in libertà nell’oceano australe è un evento raro. In alto mare questo piccolo crostaceo (lunghezza: 5-6 cm) forma sciami smisurati che si stendono per decine di chilometri in superficie e che possono contenere fino a 30.000 individui per m3. Questi sciami sono uno spettacolo eccezionale, perché durante il giorno il krill soggiorna in profondità e risale verso la superficie solo durante le ore notturne. Allevare il krill in cattività al di fuori dell’Antartide – e riprodurlo - é una faccenda ancora più complicata, ma esistono due luoghi al mondo dove i ricercatori sono riusciti in questo intento per ragioni di studio. Uno di questi due centri si trova alla sede dell’Australian antarctic division (AAD, programma polare australiano), a Kingston in Tasmania, Australia. Oggi, grazie a una KRILL CAM (una webcam posizionata sopra l'acquario del krill, immagini aggiornate ogni 3 minuti) potete tranquillamente osservare anche voi in diretta questi minuti e preziosi crostacei, come se foste in Tasmania. O in Antartide. CLICCARE QUI PER VEDERE IL KRILL ANTARTICO NELL'ACQUARIO.

Per due volte ho avuto la fortuna di visitare di persona questo acquario per osservare il krill antartico. Entrambe le volte ho avuto una guida d’eccezione: il dottor So Kawaguchi, responsabile degli studi sul krill all’AAD. I ricercatori australiani sono all’avanguardia negli studi sul krill, in particolare Steve Nicol e So Kawaguchi.

Ma eccoci di fronte alla porta d’accesso della
«krill facility». Entriamo. La prima stanza è il luogo in cui vengono allevate le alghe unicellulari di cui si nutre il krill (diatomee): in pratica si tratta di un « orticello », se cosi’ possiamo chiamarlo. Le alghe sono «coltivate» in grandi provette, alte un paio di metri.Dentro «bolle» una sorta di «brodo» colorato : in una provetta è giallo, in quella accanto è arancione, poi ancora verde….il colore dipende dai pigmenti contenuti nelle alghe. FOTO QUI SOPRA: So Kawaguchi e i recipienti per la coltura delle diatomee.

Il Dr. Kawaguchi mi fa segno di seguirlo nella stanza adiacente, immersa in una specie di penombra e con una temperatura glaciale. Qualche secondo di adattamento alla luce fioca ed ecco apparire due grandi cilindri alti press’appoco un metro e mezzo e larghi due, pieni d’acqua di mare.
So Kawaguchi si appoggia sull’estremità e osserva. « Eccoli li » dice piano indicando la superficie dell’acqua, agitata da un moto circolare: mi affaccio sulla vasca in silenzio. «Niente gesti bruschi», mi avverte So. Nell’acqua scura e gelata, limpidissima, freme un branco di gamberetti translucidi, che si lascia portare a spasso dalla corrente. Fra una vasca e l’altra ce ne sono 5.000, spiega So.

Improvvisamente i gamberetti scendono sul fondo della vasca :
«Ci hanno visto» spiega So Kawaguchi, aggiungendo che si tratta di un comportamento assolutamente normale. Dopo un attimo ritornano in superficie : «Ci stanno osservando» dice. In effetti sembra che vogliano dare una sbirciatina per capire chi siamo. I loro occhi somigliano a due minuscole biglie, nere e lucenti come ossidiana. Puo' sembrare assurdo, ma ci si sente osservati per davvero. Restiamo in silenzio e li guardiamo mentre nuotano, agitando le loro gambette e filtrando l’acqua con l’apposito apparato buccale. No hanno più timore e restano presso la superficie, accanto a noi. Sembra un miracolo, un miracolo fragile e bellissimo. FOTO QUI SOPRA: So Kawaguchi accanto a una delle vasche contenenti il krill antartico.

NOTA: Ultime notizie dall'acquario del krill all'Australian Antarctic Division (ricevute via email il 4 febbraio scorso da parte del Dr. Kawaguchi): le vasche accolgono 5.000 adulti, più 200 giovani nati l'anno scorso (2008) e 100 larve appena nate. La riproduzione del krill antartico in cattività è un grande successo. Finora solo un altro acquario - situato in Antartide - è riuscito nell'impresa. Al di fuori dell'Antartide, solo la KRILL FACILITY dell'Australian Antarctic Division ha avuto successo. Attualmente la facility conta tre vasche da 2.000 litri ciascuna.

PER SAPERNE DI PIU':
Il krill è un piccolo crostaceo che somiglia a un gamberetto delle lunghezza di 6 centimetri e del peso di circa un grammo. Il suo corpo è translucido, di colore biancastro, con due grandi occhi neri, rotondi come biglie. Sono occhi composti da innumerevoli ommatidi, come quelli degli insetti e degli aracnidi. Sono importanti per determinare l’età degli individui.

Il krill fa parte dello zooplancton e occupa una posizione fondamentale nella catena alimentare dell’oceano australe: pinguini, balene, foche cancrivore e foche leopardo, foche da pelliccia, calamari e pesci si nutrono di krill. Durante un soggiorno di 4 mesi nell’oceano australe, una femmina di balenottera di Minke consuma circa 56,2 tonnellate di krill. I ricercatori hanno identificato 85 diverse specie di questo piccolo gamberetto, di cui 5 vivono nelle acque che circondano l’Oceano australe : la specie più abbondante – e di dimensioni maggiori – è Euphausia superba. La sua biomassa nell’ocano australe ammonterebbe a 500 milioni di tonnellate. In alto mare, Euphausia superba forma sciami smisurati che si stendono per decine e decine di chilometri e che possono contenere fino a 30.000 individui per m3.

Il krill è un erbivoro: si nutre di minuscole alghe unicellulari - le diatomee - che fanno parte del fitoplancton (il plancton di origine vegetale). Il corpo delle diatomee è racchiuso in una delicatissima « scatolina » calcarea : ogni specie è caratterizzata da una forma ben precisa. Sono dei minuscoli gioielli del mare. Queste alghe unicellulari vivono sempre nei pressi della banchisa:durante la formazione del pack vi restano inglobate, e finiscono per formare quegli strati color giallo-ocra che si vedono durante l’estate australe, quando la banchisa si spezza e i blocchi di ghiaccio paiono come zattere di zucchero galleggiante. Il krill è dunque sempre associato alla banchisa e il suo apparato buccale è strutturato per poter « grattare » la superficie inferiore del ghiaccio, al fine di raccogliere le diatomee, e per filtrarle nell’acqua di mare una volta che il ghiacio si è sciolto, nel cuore dell’estate australe.

L’estate è anche il periodo riproduttivo del krill : le femmine depongono da 8.000 a 10.000 uova (due volte l’anno) : le uova fecondate scendono poi in profondità – sui 700 metri, dove avviene lo sviluppo delle larve, che in seguito ritornano in superficie. A mano a mano che cresce, il krill deve cambiare corazza : abbandona quella vecchia e ormai troppo stretta e ne forma una nuova (anche i granchi, le aragoste e altri crostacei fanno la muta).
Quanto tempo vive ? Fra i 5 e i 7 anni. E come fa a sopravvivere durante l’inverno, quando il mare è gelato per migliaia di chilometri intorno all’Antartide? E’ capace di digiunare per lunghi periodi (in cattività per circa 200 giorni), ma anche di ridurre le proprie dimensioni. Ecco perché non è possibile stabilire l’età del krill in base alle dimensioni del suo corpo. La pesca industriale del krill è iniziata negli anni 70 (da parte di compagnie russe, giapponesi e norvegesi).

I timori legati alle conseguenze di una pesca industriale eccessiva sull’ecosistema dell’oceano australe hanno portato alla
ratificazione di una convenzione internazionale – il CCAMLR – entrata in vigore nel 1982 e facente parte del Sistema del Trattato Antartico. L’approccio del CCAMLR è innovativo perché per la prima volta una convenzione tiene conto dell’effetto globale della pesca industriale su un intero ecosistema. Il krill è utilizzato essenzialmente per l’aquacultura, ma anche per l’alimentazione umana, sebbene debba essere trattato molto rapidamente prima che si degradi e sebbene contenga parecchio fluoro; la raccolta annuale è di 100.000 tonnellate (il massimo si è verificato nel 1881 con un bottino di 150.000 tonnellate). La sede del CCAMLR si trova a Hobart in Tasmania (Australia).

FOTO DEL KRILL: (c) STEPHEN BROOKES-Australian Antarctic Division
ALTRE FOTO: LUCIA SIMION (c)

LA GUERRA DELLE BALENE NELL'OCEANO AUSTRALE

Quest'anno il faccia a faccia fra la flotta baleniera giapponese e i membri dell'associazione ambientalista Sea Shepherd nell'oceano australe è stato particolarmente violento. Gli ambientalisti hanno affrontato le imbarcazioni "da ricerca" giapponesi a colpi di bottiglie colme di colorante, e i giapponesi hanno risposto con getti d'acqua ad alta pressione per tenere distanti e possibilmente affondare gli Zodiac di Sea Shepherd. Colare a picco nell'oceano australe significa rischiare la vita. La nave degli ecologisti - battezzata Steve Irwin - partita da Hobart in Tasmania il 21 gennaio scorso, è entrata in collisione due volte con imbarcazioni della flotta di cacciatori di balene, senza conseguenze preoccupanti, ma con rischi gravi per i membri dell'associazione. Nonostante ci fosse carburante a sufficienza per continuare a contrastare la flotta giapponese, Paul Watson (fondatore di Sea Shepherd e capitano della nave) ha deciso di rientrare in Australia per non mettere a repentaglio la vita dell'equipaggio e dei membri dell'associazione.

Sebbene Il mare di Ross sia stato dichiarato Santuario delle Balene e di conseguenza la caccia sia vietata, ogni anno una flotta di balenieri giappone
si entra nel santuario per massacrare impunemente fra 800 e mille balene (soprattutto balenottere minori), la cui carne viene poi scoperta sui mercati giapponesi. Negli anni passati, parecchie delle balenottere catturate erano gravide. Da notare che la caccia viene segnalata come "attività scientifica" e che sulla fiancata delle imbarcazioni giapponesi sta scritto a lettere cubitali "RESEARCH". Le "attività scientifiche" vengono compiute sparando arpioni esplosivi nel corpo o nella testa delle balene. La morte non è istantanea e i cetacei colpiti vanno incontro a una lunga agonia - fra sofferenze atroci come ci si puo' ben immaginare vedendo i video delle balene che si dibattono in un mare di sangue.
Ci si chiede com'è possibile che la comunità internazionale non intervenga in modo più marcato, con i mezzi della diplomazia e facendo la voce più grossa. Il lavoro vie
ne lasciato agli ambientalisti come Sea Shepherd, che rischiano la vita per impedire ai giapponesi di massacrare altre balene.


PER SAPERNE DI PIU':

La casa editrice Il Corbaccio ha pubblicato da poco l'opera di Peter Heller "I guerrieri delle balene", tradotto in Italiano da Maddalena Jahoda, biologa esperta di cetacei e giornalista scientifico. L'opera, di grande attualità, racconta per l'appunto le imprese delle "Whale Wars" condotte da Paul Watson e dalla sua associazione "ecoterrorista" Sea Shepherd nel'Oceano australe.

"Le mie balene" (Ugo Mursia Editore) di Maddalena Jahoda.

"Il dilemma della Sfinge" (Franco Muzzio Editore) di Giuseppe Notarbartolo di Sciara e Jeff Schweitzer.

SITO WEB DELL'ISTITUTO TETHYS

FOTO IN ALTO: AFP

martedì 3 febbraio 2009

ANTARTIDE: LA NUOVA GUIDA LONELY PLANET

La quarta edizione della fortunata guida Lonely Planet dedicata all'Antartide è uscita all'inizio di gennaio 2009. Ecco qui a sinistra la copertina. Una foto tenerissima di un pulcino Imperatore che cerca protezione e conforto appoggiandosi a uno dei genitori.

L'autore - Jeff Rubin - è uno dei direttori della rivista The Polar Times, organo ufficiale dell'American Polar Society, di cui è vicepresidente. La prima spedizione di Jeff in Antartide risale al 1987; da allora Rubin è ritornato innumerevoli volte nel continente bianco. Tiene conferenze sull'Antartide in terraferma e sulle navi da crociera che visitano il continente di ghiaccio. Il turismo antartico è infatti una delle rare nicchie dell'industria turistica a non essere in crisi: il numero di coloro che ogni anno si recano in Antartide (per nave, in aereo, a bordo di un veliero) aumenta regolarmente. La cifra si aggira sulle 46.000 presenze per questa stagione 2008-2009. L'industria turistica è gestita essenzialmente dall'International Association of Antarctic Tour Operators (IAATO), una associazione fondata nel 1991 da 7 tour operators. Oggi comprende 102 membri, a livello mondiale. Nel 2007-08 le navi registrate presso la IAATO erano 58.

Antarctica di Jeff Rubin è più che una guida. E' una enciclopedia tascabile zeppa di informazioni utilissime (380 pagine), anche per i non-turisti. Temi: esplorazione del continente (una delle passioni di Jeff), l'oceano australe, la scienza in Antartide, descrizione delle varie basi scientifiche, delle diverse isole subantartiche, flora e fauna, itinerari, spedizioni private...e anche un capitolo attualissimo sul Climate change in Antartide, scritto da Maj de Poorter, presidente del Consiglio consultativo per l'Antartide dell'IUCN (International Union for Conservation of Nature). Un altro capitolo interessante è quello dedicato alla "Cultura antartica", che descrive le caratteristiche degli antartici, oltre che della letteratura, del cinema e della musica ispirate dal continente bianco.
Numerosi sono i contributi di grandi esperti, come Martin Siegert, Professore di Geoscienze all'Università di Edimburgo e specialista dei laghi subglaciali; Philip Kyle, Professore di Geochimica al New Mexico Institute of Mining and Technology, esperto mondiale del vulcano Erebus e responsabile del Mount Erebus Volcano Observatory; Bill Hammer, Paleontologo e scopritore del Cryolophosaurus ellioti, il primo dinosauro carnivoro scoperto in Antartide; Sally Poncet, navigatrice...e molti altri.
Questi contributi (30 in tutto) sono un grande valore aggiunto alla guida di Jeff Rubin, che comprende anche i vari articoli del Trattato Antartico. Ripeto: Antarctica è più di una guida turistica. Si legge con piacere come un piccolo trattato e si imparano un sacco di cose nuove.

ANTARTIDE: POSTA POLARE

Un ufficio postale in capo al mondo Testo tratto dal mio libro: "Antartide, Cuore bianco della Terra", GIUNTI Editore, pagina 194-195 (Autore: Lucia Simion).

L’Astrolabe, la nave-rifornimenti che collega la base francese Dumont d’Urville in terra di Adelia a Hobart in Tasmania (2.700 km di distanza, 7 giorni di viaggio) si avvicina piano piano alla costa. La banchisa si è spezzata e i lastroni galleggiano sul mare come un gigantesco puzzle. L’Arcipelago di Pointe Géologie - dove l’esploratore francese Jules Sébastien César Dumont d’Urville arrivo’ un giorno di gennaio del 1840, è di fronte a noi. Di là dall’isola dei Petrelli, dove sorge la stazione, scorgiamo l’immensità del plateau polare, piatto e liscio come la superficie di un pianeta gelato.

Mentre ci avviciniamo alla base - e il pilota dell’elicottero prepara il velivolo per lo sbarco - alcuni marinai accatastano sul’helipad un decina di grossi sacchi di tela grezza di colore azzurro. Sopra sta scritto: France-La Poste. Poco dopo li caricano sull’elicottero, sotto lo sguardo atento di Jean-Marie Jaguenaud, responsabile delle Poste, Telecomunicazioni e dell’Informatica delle TAAF (Terre australi e antarctiche francesi). Tradizionalmente, in tutti e cinque i distretti delle TAAF - Crozet, Kerguelen, Amsterdam, la terra di Adelia e le Isole Eparses, i sacchi della posta hanno la priorità assoluta e vengono sbarcati prima dei passeggeri. Zeppo di sacchi postali, l’elicottero decolla. Direzione: l’Ufficio Postale di DDU, un piccolo edificio basso, color rosa pastello, con il tetto coperto di antenne: si chiama la “Gérance Postale”.

Ho avuto l'occasione di visitare la Gérance Postale (foto a destra) quando la responsabile, ovvero la "postina", era una donna: Jocelyne Le Bret di Brest, una delle due prime donne francesi che hanno fatto winter-over a DDU. In gergo locale, la chiamano “gépétte”. E’ uno dei personaggi più amati della stione, perché - nonostante telefoni e email abbiano facilitato i contatti con le famiglie- è alla Gérance Postale che arrivano le lettere e i pacchetti inviati dai propri cari, distanti 15.000 Km da DDU. Il suo assitente si chiamava Philippe.

Durante, l’estate australe (da ottobre a merzo) le 5 rotazioni dell’Astrolabe trasportano circa 35 sacchi postali, del peso di 15 Kg ciascuno. Molte delle lettere (vedi la foto in alto) che contengono sono di filatelisti. Dal 1950 ad oggi, il servizio filatelico delle TAAF ha emesso 481 francobolli e 4 “Carnet de Voyage” filatelici, ricercatissimi dai collezionisti di tutto il mondo. L’ufficio postale di Dumont d’Urville non è l’unico del suo genere in Antartide: altre stazioni ne hanno una, per esempio le tre basi australiane Mawson, Casey e Davis; la giapponese Siowa, le americane McMurdo e Plamer, le inglesi Rothera e Halley; le argentine Belgrano e Jubany, la cinese Zhong Shan.....e molte altre. Fra le più belle collezioni di francobolli polari, ci piace ricordare certamente quelli delle TAAF, quelli della Ross Dependency (Nuova Zelanda), gli inglesi (British Antarctic Territory), e quelli del territorio antartico australiano. Diversi paesi hanno emesso francobolli in occasione dell’Anno polare internazionale 2007-2008.

FOTO IN ALTO, ACCANTO AL TITOLO: una lettera inviata dalla Géance Postale (Ufficio Postale) di Dumont d’Urville, amministrata dalle TAAF (la stazione è invece gestita dall’Istituto polare francese IPEV). La Gérance Postale è l'edificio rosa pastello che vedete nella fotografia (notare la buca delle lettere, gialla come a Parigi e in tutte le città francesi). Francobollo: misura esattamente 156 mm di lunghezza e 31,77 mm di altezza. E’ uno dei più lunghi francobolli del mondo. Rappresenta il percorso del Sole a Dumont d’Urville, il 21 Giugno, giorno del solstizio d’inverno nell’emisfero australe. Quel giorno, il sole si leva per due ore appena, per tramontare poco dopo. Il francobollo è stato emesso dalle TAAF il 21 giugno 2007. Sulla seconda busta: un francobollo TAAF raffigurante i progetti di astronomia alla base italo-francese CONCORDIA a Dome C.

FOTO: (c) Lucia Simion, riproduzione e utilizzo vietato senza l'autorizzazione scritta dell'Autore.

lunedì 2 febbraio 2009

ANTARTIDE: TEMPERATURE IN ROSSO A OVEST

Era la notizia di copertina del settimanale Nature del 22 gennaio scorso: le temperature dell'Antartide occidentale (compresa la Penisola antartica) sono aumentate in modo comparabile a quelle del resto del pianeta. Questo è il risultato di uno studio condotto dal climatologo Eric Steig dell'Università di Washington a Seattle, in collaborazione con la NASA, e con l'Office of Polar programs della NSF integrando i dati ottenuti negli ultimi 50 anni dalle stazioni meteo sul continente con dati ottenuti dai satelliti negli ultimi 25 anni (numerosi altri ricercatori sono co-autori dello studio). Con questo sistema gli Autori dello studio hanno ricostruito l'oscillazione delle temperature di superficie dell'arco dell'ultimo mezzo secolo in Antartide.
Finora si riteneva che l'Antartide occidentale fosse preservata dall'aumento delle temperature in corso nella Penisola antartica, dove l'87% dei ghiacciai si sta ritirando. Si riteneva anzi che si stesse "raffreddando". I risultati dello studio rivelano che invece non c'è più da farsi illusioni: le temperature sono aumentate anche nell'Antartide occidentale, di circa 1/10 di grado centigrado ogni 10 anni. La catena dei Monti Transantartici proteggerebbe l'Antartide orientale (la porzione più vasta dell'Antartide - dove si trova la base italo-francese Concordia). Ma fino a quando?

CREDITO IMMAGINE:
NASA/GSFC Scientific Visualization Studio

Per saperne di più: http://www.nasa.gov/topics/earth/features/warming_antarctica.html

PINGUINI IMPERATORE: ESTINZIONE ENTRO LA FINE DEL SECOLO?

Notizie inquietanti per i pinguini imperatore. Perlomeno, per i pinguini imperatore della colonia situata a due passi dalla base francese Dumont d’Urville, nella terra di Adelia, in Antartide.

Questa colonia, scoperta il 15 ottobre 1950 da tre membri di una spedizione francese in esplorazione nella zona, è la colonia in cui è stato girato il famosissimo documentario "La Marcia dei Pinguini". Ricercatori francesi del laboratorio CNRS di Chizé, in collaborazione con colleghi americani, hanno previsto che entro la fine del secolo la colonia di Dumont d’Urville rischia di scomparire. La causa è da ricercare nell’aumento delle temperature planetarie e quindi nella scomparsa progressiva della banchisa - indispensabile alla vita e alla riproduzione dei pinguini imperatore - La notizia è apparsa sul numero del 26 gennaio della rivista Proceedings of the Academy of Sciences of the United States of America (PNAS).

I pinguini imperatore (Aptenodytes forsteri) sono uccelli marini splendidamente adattati alla vita nell’acqua e sul ghiaccio, nel più remoto, freddo e ventoso dei continenti. La loro evoluzione è iniziata milioni di anni fa, molto prima della comparsa dei più antichi ominidi. Insieme ai pinguini di Adelia (di taglia parecchio inferiore, 70 cm di altezza per 4-8 kg di peso contro 1,3 m e 20-40 kg dell’imperatore) sono i pinguini più adattati alla vita polare. La loro esistenza è legata in modo indissolubile alla banchisa (ghiaccio marino). Questa specie non sale mai a terra. Si riproduce sulla banchisa (fra aprile e luglio, nel cuore dell’inverno australe), si nutre di calamari, di pesci e di krill (un piccolo gamberetto la cui vita è legata alla banchisa) e infine compie la muta sulla banchisa. La muta è un momento delicatissimo della vita del pinguino imperatore: ogni anno, per circa 4 settimane deve restare all’asciutto, sulla banchisa -a digiuno- per cambiare tutte le penne: in quel periodo non puo’ immergersi per pescare perché il suo mantello non è impermeabile. Gli imperatori possono restare in immersione per circa 20 minuti, e scendere fino a 500-600 metri di profondità grazie alle riserve di ossigeno stoccate nei muscoli, legate alla mioglobina, una proteina simile all’emoglobina del sangue.

Il ghiaccio marino dell’Antartide è dunque fondamentale per la loro sopravvivenza. La scomparsa progressiva della banchisa, preannunciata dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) è una situazione quasi senza via di uscita per i pinguini imperatore. Se non saranno in grado di adattarsi ai mutamenti dell’ambiente antartico, non sopravviveranno. I ricercatori si sono basati su uno studio demografico compiuto fra il 1962 e il 2005 nella colonia di imperatori situata a poche centinaia di metri dalla base Dumont d’Urville (una delle 42 colonie di pinguini imperatore attualmente conosciute intorno all’Antartide, per un totale di circa 400.000 individui, dati degli anni 90). Dagli anni 70 ad oggi, la colonia della base francese si è ridotta del 50%, passando da 6.000 uccelli a circa 3.000 e il ghiaccio marino si è ridotto dell’11%.
Combinando lo studio demografico con i dati dell’IPCC gli autori della pubblicazione hanno calcolato che se la scomparsa della banchisa continua con il ritmo attuale, nel 2100 la colonia di Dumont d’Urville verrebbe decimata del 93% (sopravviverebbero 400 individui), con una probabilità del 36% di estinguersi completamente. Uno studio pubblicato sul settimanale Nature del 22 gennaio 2009 annuncia peraltro che nell’ultimo mezzo secolo le temperature in Antartide sono aumentate non solo nella Penisola antartica (dove l’87% dei ghiacciai è in ritiro e piattaforme di ghiaccio come quella di Wilkins si stanno frammentando ogni giorno di più), ma anche nell’Antartide occidentale. La colonia più settentrionale di pinguini imperatore si trova nella Penisola antartica : in meno di 50 anni si è ridotta da 150 coppie a 34.

Nei paraggi della base italiana nel Mare di Ross esistono due delle più grandi colonie di pinguino imperatore: la colonia di Cape Washington e di Coulman Island, con circa 20.000 individui ciascuna. Altre colonie sono presenti nel mare di Ross, fra cui una sull’isola di Ross, a Cape Crozier, dove tre compagni del capitano Scott si recarono durante la notte polare del 1910-11, per osservare la riproduzione e raccogliere delle uova con lo scopo di studiare gli embrioni. Secondo gli autori dello studio, il Mare di Ross potrebbe esere l’ultimo santuario dei pinguini imperatore.

Fotografia di Lucia Simion (c) - è vietato l'uso senza autorizzazione scritta

ANTARTIDE: I MONTI PIU' MISTERIOSI DELLA TERRA

Abbiamo seguito lo svolgimento della spedizione ai Monti subglaciali Gamburtsev tramite i blog di alcuni dei partecipanti e Principal Investigators. Nonostante l'estrame complessità di questa spedizione e l'incertazza legata alle condizioni meteo, tutto si è svolto secondo il programma e le equipes sono di ritorno ai rispettivi laboratori. Nell'attesa di altre novità, vi propongo di leggere questo pezzo, scritto per Corriere della Sera online, pagine Scienza. Qui un articolo dell'Antartic Sun, in Inglese, sulla logistica della spedizione.

TESTO

In una delle località più remote, più fredde e più inaccessibili dell’Antartide orientale è sepolto un enigma. Si tratta di una catena di monti, vasta quanto le Alpi, interamente nascosta sotto una calotta di ghiaccio dello spessore di 4 chilometri (equivalenti a 12 tour Eiffel). In superficie non si vede nulla, solo una sconfinata distesa di neve che appare piatta, anche se siamo a 4.100 metri di altezza. Sotto ci sono montagne che si estendono per 1.200 km, con picchi di oltre 3.000 metri.

Si chiamano monti Gamburtsev e sono stati scoperti per caso nel 1958 da ricercatori sovietici che compivano indagini sismiche alla superficie della calotta, per scoprire lo spessore del ghiaccio. Da allora non se ne sa molto di più, poiché nessuno li ha mai visti con i propri occhi né ha potuto analizzare il benché minimo campione di rocce. La loro silouhette misteriosa è stata osservata da strumenti - radar-altimetri, laser, magnetometri e gravimetri - trasportati da aeroplani. Che origine hanno? mistero. Che età hanno? mistero. Come si è formata la calotta che li racchiude? mistero.

Per risolvere l’enigma è stata organizzata una straordinaria spedizione internazionale battezzata AGAP, da Antarctic Gamburtsev Province : è il fiore all’occhiello del quarto Anno polare internazionale in corso. Di AGAP fanno parte ricercatori e tecnici di vari paesi : Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Cina, Australia e Giappone. C’è anche un Italiano, il geofisico genovese Fausto Ferraccioli, dal 2002 responsabile del team di Aerogeofisica del British Antarctic Survey (il programma polare inglese).
Link
«E’ una sfida eccezionale, è come andare su Marte » racconta Ferraccioli, 38 anni, che ha già organizzato 7 spedizioni per studiare la topografia sommersa dell’Antartide, una anche con il Programma nazionale di ricerche in Antartide italiano (PNRA). Ferraccioli sottolinea l’importanza della collaborazione internazionale in questa spedizione, sostenuta con grandi mezzi finanziari e logistici soprattutto dagli Stati Uniti (tramite la National Science Foundation, NSF) e dalla Gran Bretagna. I due paesi saranno gli unici a disporre di aeroplani (due Twin Otter) equipaggiati con strumenti sofisticati che permetteranno di studiare la natura dei monti sommersi.
« E’ il progetto più ambizioso e più impegnativo finora organizzato dal British Antarctic Survey », dice Ferraccioli, precisando che l’area da esplorare è vasta 6,5 volte l’Italia, in una delle località più proibitive dell’Antartide (temperature bassissime e scarsa concentrazione di ossigeno per via dell’altezza). Quali sono i principali obiettivi della spedizione ? E quali sono gli aspetti logistici ?

« Gli obiettivi principali sono quattro
, spiega Fausto Ferraccioli. Riuscire a capire come una catena di monti si sia formata in mezzo a un continente; misurare lo spessore della calotta per trovare la località in cui lanciare un progetto di perforazione che permetterà di estrarre il ghiaccio più « vecchio » della Terra, per studi paleo-climatici ; studiare l’origine dei laghi subglaciali che si trovano intorno ai monti Gamburtsev e infine capire come i i laghi subglaciali influenzano lo scorrimento del ghiaccio. » La geologia sommersa dell’Antartide ha un’importanza cruciale nella formazione e nella dinamica delle calotte di ghiaccio : i monti Gamburtsev sarebbero le cime sulle quali ha iniziato a formarsi l’immensa calotta di ghiaccio che oggi ricopre il 98% del continente, svolgendo un ruolo fondamentale nella regolazione del clima planetario.
L’organizzazione logistica della spedizione AGAP è una sfida colossale. In primo luogo perché nella zona da esplorare non si trovano basi né depositi di caburante. I membri della spedizione vivranno in due diversi campi tendati (AGAP sud e AGAP nord), a temperature che sfiorano i -50°C.

Per compiere gli studi aero-geofisici il team americano della NSF e gli inglesi del BAS hanno suddiviso l’area da esplorare : gli americani (diretti da Robin Bell e Michael Studinger del laboratorio Lamont-Doherty) studieranno un’area più vicina al Polo sud geografico, dove è situata la base USA Amundsen-Scott ; gli inglesi voleranno a partire dal campo AGAP nord. E il carburante per gli aerei ? Verrà « consegnato a domicilio »: agli americani tramite una carovana di trattori cingolati che partirà dalla base Amundsen-Scott (una « traversa »), mentre gli inglesi lo riceveranno….dal cielo. E’ infatti previsto che 450 fusti di carburante siano paracadutati nella zona tramite 4 diversi voli di C-17, enormi aerei militari USA, utilizzati durante le campagne scientifiche per trasportare personale e materiale dalla Nuova Zelanda alla stazione McMurdo in Antartide. Cinesi, australiani e giapponesi collaboreranno a importanti aspetti logistici.
Infine, la spedizione comprende anche un team di ricercatori americani di due diverse università (Washington e Penn State) che posizionerà 25 sismometri nell’area dei monti Gamburtsev. Ritorno previsto della spedizione : gennaio 2009. Giusto in tempo per concludere in bellezza il quarto anno polare internazionale, al quale il progetto AGAP poterà il più bel regalo : il mistero svelato dei monti Gamburtsev.

PER SAPERNE DI PIU’ :
http://www.antarctica.ac.uk/press/featured/AGAP/hidden_world.php
http://www.ldeo.columbia.edu/res/pi/gambit/
http://www.nsf.gov
http://www.ipy.org
http://www.discoveringantarctica.org.uk/