Silvia Olmastroni, Biologa e PhD in Scienze Polari, ricercatrice preso il Dipartimento Scienze Ambientali "G. Sarfatti" dell'Università degli Studi di Siena, è la responsabile italiana della ricerca sui pinguini Adélie. Quando è in Antartide, il lavoro di Silvia consiste nel monitorare le colonie di Adélie situate nei pressi della stazione italiana Mario Zucchelli a Baia Terra Nova (chiamata MZS in gergo antartico): le colonie di Edmonson Point, di Inexpressible island e di Adélie Cove. La località di Edmonson Point è tanto importante che nel 2006, durante la riunione annuale dei Paesi membri del Trattato Antartico (ATCM), fu creata un'apposita "Zona a protezione speciale" di 6 km2. Nell'ambito del monitoraggio delle colonie di pinguini Adélie del mare di Ross, Silvia Olmastroni ha collaborato - e scritto pubblicazioni scientifiche - con ricercatori Australiani e degli Stati Uniti. Si è recata anche in colonie di Adélie più distanti dalla stazione MZS. La fotografia a destra la ritrae insieme al collega Francesco Pezzo, nella colonia di Inexpressible island, intenta a fissare una radiotrasmittente Argos sulle piume del dorso di un pinguino Adélie. L'uso di queste radiotrasmittenti (che costano intorno ai 3.000 dollari ciascuna) ha permesso a Silvia di scoprire dove i pinguini Adélie delle colonie monitorate vanno ad alimentarsi, a che distanza dalla costa, e quanti giorni restano in mare. Dati di grande importanza, che nessuno aveva mai rilevato nell'area circostante alla nostra stazione scientifica MZS. Purtroppo, da alcuni anni il finanziamento inadeguato delle spedizioni ha impedito la regolare prosecuzione del monitoraggio annuale delle colonie di pinguini Adélie.
Silvia Olmastroni ci ha fatto pervenire questa sua riflessione sullo stato delle ricerca antartica in Italia: la pubblichiamo volentieri sul questo blog. Con l'augurio che in un prossimo futuro il nostro Governo comprenda l'importanza fondamentale della Ricerca nelle regioni polari del pianeta, e preveda lo stanziamento di fondi adeguati per la ricerca nell'Artico e in Antartide (come ha fatto negli ultimi 25 anni, durante i quali sono stati pesi 600 milioni di Euro per la ricerca antartica).
Silvia Olmastroni ci ha fatto pervenire questa sua riflessione sullo stato delle ricerca antartica in Italia: la pubblichiamo volentieri sul questo blog. Con l'augurio che in un prossimo futuro il nostro Governo comprenda l'importanza fondamentale della Ricerca nelle regioni polari del pianeta, e preveda lo stanziamento di fondi adeguati per la ricerca nell'Artico e in Antartide (come ha fatto negli ultimi 25 anni, durante i quali sono stati pesi 600 milioni di Euro per la ricerca antartica).
Di Silvia Olmastroni, PhD:
La diminuzione sistematica dei fondi dedicati alla ricerca è argomento ormai noto alla comunità scientifica nazionale italiana, anche i mass media nelle trasmissioni dedicate alla scienza ci ricordano ormai questo triste orientamento nazionale. Come conseguenza anche settori di notevole specializzazione scientifica e tecnologica, come le missioni in Antartide, hanno risentito di questa scelta. Ma è negli ultimi tre anni che la situazione è ulteriormente precipitata impedendo quasi in toto lo svolgimento di campagne scientifiche presso la stazione italiana in Antartide Mario Zucchelli. Questo momento particolarmente grave è coinciso con uno dei momenti più importanti della comunità polare internazionale: il IV° Anno Polare Internazionale.
Cito testualmente (http://www.annopolare.it/)
“L’Anno Polare Internazionale è un’iniziativa di ricerca scientifica internazionale ed interdisciplinare che coinvolgerà circa 50.000 ricercatori di 63 nazioni. Promosso dal Consiglio internazionale per la Scienza (ICSU) e dall’Organizzazione meteorologica internazionale (WMO), l’IPY si pone l’obiettivo principale di consentire un’osservazione e una comprensione più dettagliate delle regioni polari, attirando l’attenzione del mondo intero sulla loro importanza attraverso un’iniziativa di ricerca che non era mai stata così imponente se non durante l’Anno Geofisico Internazionale (1957- 58) di cui l’IPY ricorda il 50° anniversario.”
Così mentre i colleghi di altre nazionalità, che pur risentendo del momento di crisi globale hanno visto confermati e finanziati i propri programmi scientifici, hanno realizzato congiuntamente progetti di ricerca multidisciplinari per il biennio 2007-2009, l’Italia ha dovuto tirarsi indietro. Ogni collaborazione costruita negli oltre 20 anni di ricerche sul continente antartico è stata sospesa se non abbandonata senza neppure poter ipotizzare un momento di futura ripresa. Siamo rimasti senza parole, e non senza un certo imbarazzo ci siamo dovuti eclissare tentando di spiegare questa situazione e la totale mancanza di programmazione sul presente e sul futuro ai nostri colleghi stranieri con cui collaboravamo.
Le conseguenze e il danno per il mondo scientifico italiano sono da subito evidenti ma saranno maggiormente percepibili anche con qualche anno di ritardo. La ricerca “mancata” significa infatti mancate pubblicazioni, e quindi ridotto impatto nella comunità scientifica internazionale. Questo si traduce inevitabilmente nell’impossibilità di accedere ai fondi internazionali dedicati a questo settore di ricerca.
Significa, a livello italiano, anche la mancanza di argomenti disponibili per le tesi di laurea e di dottorato di ricerca e quindi mancata formazione scientifica e culturale in quel settore per la prossima generazione di studenti. I gruppi di ricerca che hanno investito fondi e personale per l’acquisto di materiale scientifico e bibliografico devono riciclarsi, disperdendo il know-how acquisito negli anni. Senza contare che alcune ricerche condotte in ambienti estremi avrebbero potuto essere tradotte in brevetti tecnologici internazionali. Anche ipotizzando una futura ripresa dell’attività di ricerca in Antartide rimane un “buco nero” che crescerà in modo allometrico, tanto più sarà il tempo trascorso dall’abbandono della ricerca sul campo scientifico internazionale. Va da se che a questo corrisponda, e un buon economista può certo quantificarlo, anche e soprattutto un danno economico per il nostro paese.
Fotografia di Lucia Simion (c).
La diminuzione sistematica dei fondi dedicati alla ricerca è argomento ormai noto alla comunità scientifica nazionale italiana, anche i mass media nelle trasmissioni dedicate alla scienza ci ricordano ormai questo triste orientamento nazionale. Come conseguenza anche settori di notevole specializzazione scientifica e tecnologica, come le missioni in Antartide, hanno risentito di questa scelta. Ma è negli ultimi tre anni che la situazione è ulteriormente precipitata impedendo quasi in toto lo svolgimento di campagne scientifiche presso la stazione italiana in Antartide Mario Zucchelli. Questo momento particolarmente grave è coinciso con uno dei momenti più importanti della comunità polare internazionale: il IV° Anno Polare Internazionale.
Cito testualmente (http://www.annopolare.it/)
“L’Anno Polare Internazionale è un’iniziativa di ricerca scientifica internazionale ed interdisciplinare che coinvolgerà circa 50.000 ricercatori di 63 nazioni. Promosso dal Consiglio internazionale per la Scienza (ICSU) e dall’Organizzazione meteorologica internazionale (WMO), l’IPY si pone l’obiettivo principale di consentire un’osservazione e una comprensione più dettagliate delle regioni polari, attirando l’attenzione del mondo intero sulla loro importanza attraverso un’iniziativa di ricerca che non era mai stata così imponente se non durante l’Anno Geofisico Internazionale (1957- 58) di cui l’IPY ricorda il 50° anniversario.”
Così mentre i colleghi di altre nazionalità, che pur risentendo del momento di crisi globale hanno visto confermati e finanziati i propri programmi scientifici, hanno realizzato congiuntamente progetti di ricerca multidisciplinari per il biennio 2007-2009, l’Italia ha dovuto tirarsi indietro. Ogni collaborazione costruita negli oltre 20 anni di ricerche sul continente antartico è stata sospesa se non abbandonata senza neppure poter ipotizzare un momento di futura ripresa. Siamo rimasti senza parole, e non senza un certo imbarazzo ci siamo dovuti eclissare tentando di spiegare questa situazione e la totale mancanza di programmazione sul presente e sul futuro ai nostri colleghi stranieri con cui collaboravamo.
Le conseguenze e il danno per il mondo scientifico italiano sono da subito evidenti ma saranno maggiormente percepibili anche con qualche anno di ritardo. La ricerca “mancata” significa infatti mancate pubblicazioni, e quindi ridotto impatto nella comunità scientifica internazionale. Questo si traduce inevitabilmente nell’impossibilità di accedere ai fondi internazionali dedicati a questo settore di ricerca.
Significa, a livello italiano, anche la mancanza di argomenti disponibili per le tesi di laurea e di dottorato di ricerca e quindi mancata formazione scientifica e culturale in quel settore per la prossima generazione di studenti. I gruppi di ricerca che hanno investito fondi e personale per l’acquisto di materiale scientifico e bibliografico devono riciclarsi, disperdendo il know-how acquisito negli anni. Senza contare che alcune ricerche condotte in ambienti estremi avrebbero potuto essere tradotte in brevetti tecnologici internazionali. Anche ipotizzando una futura ripresa dell’attività di ricerca in Antartide rimane un “buco nero” che crescerà in modo allometrico, tanto più sarà il tempo trascorso dall’abbandono della ricerca sul campo scientifico internazionale. Va da se che a questo corrisponda, e un buon economista può certo quantificarlo, anche e soprattutto un danno economico per il nostro paese.
Fotografia di Lucia Simion (c).
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